L’usanza di friggere il pesce ha origini antichissime. Esisteva già nell’epoca Romana (lo testimonia Apicio) e continuò nel Medioevo e nel Rinascimento, fino ai giorni nostri. Si usava, nei tempi passati, accompagnare il pesce fritto con salse complicate o di marinarlo. L’odierno fritto misto di pesce è un piatto della cucina casalinga che è stato poi adottato dalle locande, dalle trattorie e dai ristoranti.
Come sia nata questa tecnica di cottura, però, resta un mistero. Apicio racconta di pietanze fritte nel miele cotto, oppure in una miscela di garum, olio e vino, o ancora garum, acqua e olio (quello che oggi considereremmo un soffritto), ma i testi al riguardo – a differenza di altre tipologie di cotture come l’arrosto – sono pochi e non sempre chiari.
Per i romani, infatti, la frittura era ben diversa da come la interpretiamo oggi. Tant’è che Apicio racconta che il liquido di cottura veniva poi versato sul cibo così da renderlo di nuovo morbido e succulento: insomma, la croccantezza – oggi sinonimo di qualità per un buon fritto – non era contemplata.
Per una buona frittura, il pesce dev’essere freschissimo, nostrano e piuttosto vario. Alcune specie sono d’obbligo, come i gamberi e i calamari, mentre altre si possono aggiungere a piacimento.
Inoltre, il pesce va semplicemente infarinato e gettato in abbondante olio bollente. A cottura completa, il pesce deve risultare dorato fuori e internamente morbido e succoso e va rapidamente asciugato su carta assorbente e salato.
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